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Pesca in fiume alla bolognese: storia, attrezzatura, consigli

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pesca fiume alla bolognese
pesca fiume alla bolognese

Non servono chissà quali doti per stabilire che la pesca in fiume alla bolognese affonda le radici nella provincia emiliana. A introdurla una figura storica del movimento come Nanetti, portavoce del suo celebre gruppo “i piscaturi”. Era il 1933. Nonostante sia passato quasi un secolo (quindici anni passano in fretta…) fa ancora presa.

Pesca in fiume alla bolognese: storia

Il mulinello a bobina fissa, oggi abbinato, fu inventato in Nord America agli inizi del 1870. Ma la più celebre canna lunga ad anelli comprensiva di mulinello è stata introdotta nella zona di Bologna. Secondo ricostruzioni storiche per accedere alle zone più lontane da riva nei fiumi di buona portata dell’Emilia. Che, fino ad allora, risultavano “off limits”.

Questa canna nacque a fine anni Cinquanta, appunto per la pesca praticata su lunga distanza. Inizialmente realizzata in canna di Nizza, eccetto il cimino, che restava di bambù. A quell’epoca, infatti, era il tipico materiale per tutte le canne da pesca.

Nel corso della sua prima diffusione venne realizzata in sole due misure, da 4,70 e 5,40 metri. Del sughero avvolgeva il calcio terminale per 80 cm circa. Mentre due anelli in ottone più larghi lì collocati reggevano il mulinello. Gli inventori risposero ai nomi di Vigarani, Bisi e Paolucci.

Il primo modello sul mercato è di un marchio francese

Nel decennio seguente esordirono le nuove fibre in vetro e fenolico. Ironia della sorte però la prima azienda a produrla non era nemmeno italiana. Bensì la francese Lerc, che lanciò sul mercato una canna lunga 5,40 metri. A fine decennio fecero capolino i cosiddetti modelli “a cannocchiale”, poi conosciuto col nome di canne telescopiche. Dalla loro una praticità decisamente maggiore.

Tuttavia, era complicato regolarne la parabolicità. Step evolutivo ulteriore l’uso di nuovi materiali, boron e carbonio su tutti. Che si miscelavano con le fibre di vetro. Così la canna alla bolognese ne giovò in termini di lunghezza e leggerezza, anche se risultò molto più delicata. Dotata di anelli passafilo, con un diametro che man mano diminuiva mentre si saliva verso la punta. Grazie a questa innovazione raggiunse una gittata prima impensabile. E fu possibile trattenere la lenza in pesca anche lontano da riva.

Perfetta in ogni luogo

Come molti sapranno, la canna alla bolognese è adatta, anzitutto, alla passata della lenza. Con questo termine ci si riferisce alla pratica prevalentemente utilizzata nelle acque interne italiane. Fiumi di pianura in particolar modo. Con fondali praticamente uniformi dove la lenza è in costante movimento. Per tenerla sotto costante controllo si ricorre alla trattenuta, vale a dire una manovra di fermo e rilascio, leggera e senza sosta. Il pescatore presenta l’esca in prossimità al fondo. Ed è attraverso lo spostamento sopra richiamato che si stimola il pesce ad attaccare.

Con i pescatori di fiume che emigravano al mare la tecnica ha attecchito anche sulla costa. In generale, una sua grande virtù residua proprio nella sua adattabilità a posti differenti. Specialmente i moderni viaggiatori sono consapevoli di quanto sia scomodo trovare un luogo consono con altre tecniche. Al contrario, qui con un minimo di attrezzatura, posta in un marsupio o nelle tasche del gilet si può entrare in azione. E questo in quanto la canna alla bolognese è stata ideata pesca di ricerca.

 

La pasturazione richiama i pesci

Il pescatore che vuole scovare i pesci attua strategie diverse da quelli di richiamo. Che, per via della pastura, richiama i pesci sul luogo designato. Tuttavia, scegliendo il secondo tipo è fondamentale possedere buone capacità di concentrazione. Sarebbe deleterio abbandonarlo dopo aver fatto il fondo, ossia pasturato. Per riuscire nel proprio intento si tiene d’occhio cosa succede vicino alla riva. Probabilmente i posti migliori sono già quelli utilizzati da altri pescatori perché già pasturati. E lì il pesce è abituato a nuotare, nella speranza di trovare cibo. Onde evitare una pastura sbagliata, che potrebbe causare problemi di richiamo, è meglio soffermarsi sul posto già battuto.

Si fa riconoscere per l’erba schiacciata e la postazione comoda. Gli aromi della pasturazione è bene che siano conosciuti dai pesci e apprezzati. Sia la pesca di ricerca sia di richiamo possono venire praticati con la canna alla bolognese. Visto che il focus è dedicato ai fiumi, resta da aggiungere che è meglio non pescare al centro. In quel punto studiare la conformazione risulta complicato. Molto meglio il tratto antecedente alla corrente principale.

A contatto diretto

In quanto abbastanza mobile, la canna alla bolognese sa come tenere impegnati. Quando un pesce abbocca lo si sente forte tra le mani. La montatura prevede galleggianti di varie forme e misure. Per orientarsi è opportuno schiarirsi le idee riguardo a fondali, correnti, vento e prede. Il mulinello applicato alla canna cede quel tanto di filo che basta a raggiungere qualsiasi distanza. Così si tiene una maggiore margine da riva, senza ricorrere ad un attrezzo più lungo e ingombrante. Bisogna infatti sapere che i pesci non si tengono a tiro di canna fissa. Forse perché, indisturbati, si sentono al sicuro o perché l’habitat è migliore.

È intuitivo che più la lenza è pesante e più crescerà la distanza massima coperta. Non bisogna però generalizzare. Vanno bensì considerate ulteriori variabili come il vento, la corrente e anche l’ampiezza del posto di pesca. A grandi linee, il minimo di distanza è pari alla lunghezza della canna; il massimo potrebbe essere invece una quarantina di metri. Che si presta solo a pochi eletti, agonisti esperti abilissimi nel gestire la linea di passata. Indicativamente l’ideale va dai 10 ai 20 metri a seconda della bolognese usata, assolutamente irraggiungibili con canna fissa.

Canna

Prima di accingersi alla pesca è fondamentale capire appieno le condizioni e i fattori ambientali che si andranno ad affrontare. Inoltre, incide anche l’azione stessa. Se l’attenzione va ai pesci grossi in acque chiare usando fili sottili dovrà essere parabolica per attenuare le sfuriate del pesce. E assestare il basso carico di rottura del terminale. Invece per pinnuti robusti in profondità è necessario che sia robusta e potente, in modo da controllarne le fughe.

Qualora si opti per fili sottili e canne robuste il punto debole consiste nel filo. Ed è questo che cederà. Mentre nel caso di canne paraboliche e fili resistenti la canna è soggetta a rischi non indifferenti. Per la pesca di ricerca una lunghezza di 5 metri va più che bene. Invece per la pesca di richiamo ne occorrono almeno 7, anche 8 o 9 nelle circostanze estreme. Visto e considerato che solo chi possiede parecchia esperienza riesce a maneggiarle si suggerisce di non affrettare i tempi. Meglio dunque munirsi di canne lunghe 6 metri per poi salire, in relazione ai progressi.

Mulinelli

In genere hanno dimensioni medio-piccole. Con la frizione anteriore o posteriore a seconda delle specifiche esigenze. Inoltre, ci sono mulinelli con leva a freno della frizione (full control) o con frizione supplementare (leva di combattimento). Così si agisce direttamente ad agire sulla fuoriuscita del filo. Senza che questo imponga di modificare la frizione principale. È fondamentale possedere una bobina larga e conica: facilita l’uscita del filo e abbina, nella maniera corretta, il mulinello alla canna.

Filo

Un momento fatidico. Vi andrà costruita la lenza. Altrimenti potrebbero insorgere seri disagi. Come dimensioni, si consiglia un buon 0,14, sicuramente ideale per ogni tipo di pesca. Condicio sine qua non che l’acqua sia particolarmente limpida e si peschino pesci diffidenti. Altrimenti è suggerito il caricamento del mulinello con filo pari a 0,12 per stendere meglio la lenza. Che, offrendo all’aria una superficie minima, evita la deleteria “pancia di lenza”. Aumentare o ridurre il diametro ha senso solo in condizioni di pesca particolari. Ad esempio per prede come la carpa e l’orata va bene anche uno 0,16 o addirittura 0,18. Così come la pesca in superficie a cavedani si può utilizzare lo 0,08 diretto. Il filo imbobinato sul mulinello non deve essere inferiore a quello usato come terminale: non reggerebbe una trazione prolungata.

Lenza

Prendere la prima che capiti al tiro è controproducente. Ogni lenza va infatti ponderata studiando il pesce da insidiare, le prede di cui ama nutrirsi, l’esca da usare e le caratteristiche del luogo. Di norma hanno un galleggiante che finisce fino alla piombatura. Un tratto colmo di pallini porta l’esca sul fondo. Attorno al sottile terminale viene legato l’amo sul quale sistemare l’esca.

A differirle è soprattutto la geometria usata nell’assemblaggio della piombatura. Che, solitamente, va costruita ricorrendo esclusivamente a piccoli pallini in piombo spaccati posti in serie. Da valutare in base alle condizioni di corrente e di profondità dell’acqua. Un semplice spostamento dei piombi dà vita a schemi decisamente diversi. Senza che si renda necessario rifare o sostituire l’intera montatura ogni qualvolta si cambi posto o mutino le condizioni dell’acqua. Riassumendo, esistono tre montature base per una corretta lenza alla bolognese. Nella prima la zavorra è concentrata in un unico punto. Per via di una piombatura raggruppata che consente di toccare subito il fondo. È una montatura che si presta alle acque profonde.

La seconda prevede invece uno schema “aperto”. Ossia uno spazio equidistante tra un pallino e l’altro. Oppure sempre maggiore, a seconda che si vada verso il galleggiante o verso l’esca. La lenza acquisisce maggiore morbidezza, indicata in acque basse per pescare a poca distanza dal fondo. Terza, e ultima, alternativa un misto tra le due, con un bulk e una scalata ad esso associata. Una soluzione per via della quale la lenza scende piuttosto rapidamente verso il fondo. E resta sia morbida sia fluida, proteggendo così naturalmente l’esca. Quando viene superato il grammo e mezzo di piombatura, sarebbe preferibile sostituire i pallini con una goccia di piombo (torpille). Comunque assolve allo scopo anche la sfera, in grado di sopportare il 50% della piombatura della lenza così da non sbilanciarla.

Galleggianti

Hanno una diversa forza e costruzione. Quelli affusolati o a penna si prestano alle acque ferme. A pallina invece danno una mano nel rompere la resistenza della corrente veloce o del mare mosso. In mezzo, i galleggianti a goccia per le correnti deboli o a pera, che camminano un po’ di più. I galleggianti si distinguono anche in base alla “deriva”, nella parte inferiore. Che può essere in balsa, carbonio o metallo. E permette, rispettivamente, una calata lenta, media, veloce e da antenne. Fisse o intercambiabili, in giallo o rosso fluorescenti, rendono possibile scorgere i galleggianti in acqua. La portata massima viene scritta sul corpo. Se tarato con zavorra massima lascia intravedere la sola antenna. Tuttavia, a volte occorre non piombarlo a taratura completa. Pesci sospettosi potrebbero infatti avvistarlo a distanza oppure in mare quando le onde lo farebbero affondare ad ogni loro passaggio.

Finali

Si allungano pian piano che vengono prese le distanze dal fondo. E in relazione alle specifiche abitudini alimentari dei pesci insidiati. Alla lenza madre sono assicurate attraverso connessioni come il doppio cappio. Oppure con girelline che ne evitano la torsione durante il recupero.

Esche

La pesca alla bolognese alimenta interesse anche perché versatile. È cioè adatta a qualunque situazione. Sul fondo non servono canne specifiche, purché l’esca utilizzata lavori appoggiata. I predatori adorano esche in movimento. E la scelta ideale vira sul bigattino. Larva della “mosca carnaria”, attira aguglie, spigole, saraghi, mormore e tutte le minutaglie. Due o tre per amo è una quantità idonea: una per coprire il gambo dell’amo, gli altri come richiamo, scodinzolanti in punta d’amo. Le si può sostituire anche con altre esche, dal coreano al muriddu, dall’americano alla lumaca di mare, ecc. Alcune specie preferiscono però gli sfarinati, prodotti a base di farine di pesce e simili. Caso emblematico il cefalo.

Pasturazione

Merita altrettanta attenzione. Una buona pasturazione attira come calamite le prede, a maggior ragione i predatori. Stabilito dove affondare il terminale, si prende una fionda pasturatrice per far pervenire manciate di bigattini. Al contrario per pesci come il già citato cefalo e pesci affini vanno meglio le palle di pane bagnato e compresso o piccole palline pasta-esca. Non occorre prodursela in casa. Qualsiasi negozio specializzato ne è provvisto.